Economia e trading

Investimenti all’estero: perché cresce l’interesse tra imprenditori e famiglie italiane

un investimento all'estero

Attualmente sono sempre di più gli investitori italiani, dai grandi imprenditori ai liberi professionisti, passando per famiglie con patrimoni rilevanti, volgono lo sguardo oltreconfine.

Per molti si tratta di una vera e propria strategia a lungo termine: proteggere il proprio capitale, alleggerire il carico fiscale e accedere a mercati più dinamici.

Un movimento che riflette sia una necessità contingente sia una consapevole ricerca di nuovi equilibri patrimoniali.

Perché si guarda fuori dall’Italia?

 La pressione fiscale che grava su imprese e cittadini in Italia, unita alla persistente instabilità normativa e a una burocrazia complessa, ha spinto molti a esplorare soluzioni oltre i confini nazionali.

Il contesto globale, sempre più interconnesso, facilita la mobilità dei capitali e rende accessibile ciò che fino a qualche decennio fa era riservato solo a una ristretta élite. Oggi, delocalizzare non è più sinonimo di evasione, ma di pianificazione.

A confermare questa tendenza ci sono i dati dell’OCSE: nel 2024, gli investimenti diretti esteri hanno registrato una crescita del 12% su scala globale, con una significativa incidenza dei flussi in uscita da Paesi ad alta tassazione. L’Italia rientra pienamente in questo scenario.

Ma la motivazione non è soltanto fiscale.

Gli investitori cercano stabilità normativa, tutela giuridica e mercati in crescita. Ecco perché, sempre più spesso, la scelta di spostare asset o residenze fiscali all’estero si inserisce in un percorso strutturato di riorganizzazione del patrimonio familiare e aziendale.

Le giurisdizioni più attrattive nel 2025

 Ogni anno, alcune destinazioni si confermano più appetibili di altre, nel 2025, alcuni Paesi si pongono come veri e propri hub per capitali in cerca di efficienza fiscale e certezze normative.

Emirati Arabi Uniti

 Oltre a un’imposta personale sul reddito pari a zero, il Paese offre una tassazione societaria introdotta solo di recente, al 9%, che resta comunque competitiva. Ecco perché sempre più persone sono interessate a investire in Arabia Saudita. Tuttavia, le autorità hanno rafforzato i controlli sul requisito della sostanza economica: non basta un ufficio virtuale per godere dei vantaggi fiscali, occorre dimostrare una presenza reale.

Singapore

 L’isola asiatica mantiene un’imposta societaria nominale al 17%, ma offre numerose esenzioni per nuovi business e start-up. È inoltre considerata una delle piazze più sicure per l’investitore globale, grazie a un sistema normativo stabile e trasparente.

Irlanda

 Con una corporate tax al 12,5%, il Paese è da anni un punto di riferimento per chi desidera avviare attività nel settore tech e digitale. Il contesto altamente digitalizzato e favorevole alle imprese rafforza il suo appeal.

Portogallo

 Dopo anni di successo del regime fiscale per residenti non abituali (NHR), il governo ha avviato una riforma, riducendo alcune agevolazioni. Nonostante ciò, l’interesse resta alto, specialmente per chi desidera investire nel mercato immobiliare o avviare una piccola attività nella regione autonoma di Madeira.

Svizzera

 Resta una delle mete più solide e stabili per il trasferimento patrimoniale, grazie a un sistema cantonale che consente una certa flessibilità negoziale. Cantoni come Zugo o Lucerna offrono condizioni fiscali tra le più vantaggiose d’Europa, a fronte però di requisiti stringenti in termini di sostanza e trasparenza.

Non basta trasferire capitali: l’importanza di una strategia

 La scelta di investire o trasferire patrimoni all’estero non può prescindere da una valutazione attenta, soprattutto per chi risiede in Italia. Il fisco italiano richiede infatti la dichiarazione di tutte le attività estere nel quadro RW del modello Redditi. L’omessa compilazione comporta sanzioni, e nei casi più gravi, anche conseguenze penali.

Inoltre, la lista nera del MEF identifica alcuni Paesi come fiscalmente non collaborativi. Investire in queste giurisdizioni comporta automatismi fiscali più penalizzanti, indipendentemente dal regime adottato localmente.

Vi sono poi fattori non strettamente fiscali da considerare: l’instabilità politica in certe aree, i rischi legati alle fluttuazioni valutarie, o le difficoltà culturali e giuridiche che possono sorgere nel corso dell’operatività quotidiana. Trasferire capitale è un conto, riuscire a farlo fruttare in un contesto estero è un altro.